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livello di preparazione richiesto: ★★★☆☆
in termini figurati, mi piace associare il business model all’endoscheletro umano, intendendosi proprio l’impalcatura interna costituita da ossa, cartilagini e articolazioni, volta a sorreggere l’essere umano, assegnargli una morfologia identificabile e garantirgli una dinamicità spaziale per mezzo della mobilità articolare. il business model, in pratica assolve queste funzioni: 1) sostiene finanziariamente le scelte 2) identifica un modello di produttività 3) direziona i futuri percorsi di crescita costituendosi come uno strumento dinamico di valutazione. il business model, in tal senso, prefigura le modalità secondo le quali la nostra attività si sostiene producendo redditività, per mezzo di uno specifico servizio professionale offerto ad una categoria identificata di clienti e a fronte di una struttura di costi definita. si deve precisare, in tal senso, che qualunque tipo di attività realizzata da un soggetto economico volta a somministrare un bene o un servizio ad una pluralità di soggetti appartenenti ad un mercato geografico di riferimento sottende la presenza di un business model anche se, talvolta, in forma non consapevole. analizziamo ulteriormente questo aspetto. avviare uno studio professionale necessita, ab origine, di un business model. al contempo, anche il mantenimento del medesimo o le eventuali successive fasi di crescita richiedono un business model. già solamente la scelta dell’ambiente dove esercitare la professione richiede quel “fare di conto” che comporta canone di locazione, attrezzature e immobilizzazioni materiali varie che costituiranno i costi di esercizio, da compararsi, poi, al prospetto delle entrate costituito dal reddito delle prestazioni professionali offerte ad un quadro clienti, nell’80% circa degli studi di architettura italiani, scarsamente identificabile. si legga a tal proposito “chi è il tuo cliente”. in definitiva, ogni soggetto economico ha un business model, anche se non è consapevole di averlo. aiutiamoci con un esempio. la Sig.ra Maria che nel 1962 ha aperto una delle focaccerie più di successo a Genova, non sapeva di avere un business model, eppure l’aveva, eccome! e gli ha pure consentito di prosperare fino a quando non è mutata la forma di mercato obbligandola a cedere la sua attività.
NOTA: scegliere un ambiente dove esercitare la professione all’interno del tessuto urbano e svolgerla per mezzo del passaggio probabilistico di potenziali clienti o in funzione di un passaparola di clienti non misurabile, non è un business model!
questo è un aspetto fondamentale: è la complessità della forma di mercato a imporre come prerequisito per il suo ingresso il business model. premesso che qualunque attività oggi deve possedere un business model, in mercati scarsamente concorrenziali si potrebbe ipotizzare per semplicismo che si renda non necessario a fronte del quadro della domanda e dell’offerta. in realtà, ogni mercato è un organismo dinamico che muta nel tempo e il business model, in questi casi, può costituire uno strumento anticipatore di analisi e progettazione per realizzare la propria offerta strategica futura proprio a fronte della nuova configurazione di mercato. qualcuno ricorda Blockbuster? saranno a tal fine gli indicatori chiave di prestazione (ICP) – o se il lettore ama gli anglismi KPI – a supportarci nelle decisioni. ne parleremo in altra sede.
in conclusione, il business model è l’ossatura della nostra attività (professionale o imprenditoriale) che descrive la logica secondo la quale produciamo denaro o – citando in forma più elegante Alexander Osterwalder – il business model descrive la logica in base alla quale un’organizzazione crea, distribuisce e cattura valore.
ho deliberatamente citato Osterwalder perché rientra tra i soggetti più innovatori, insieme a Ash Maurya, che hanno contribuito a rendere il business model un’entità concettuale che graficizza in forma schematica per mezzo di un framework il quadro decisionale delle scelte da operarsi per lo sviluppo di un business rendendolo uno strumento dinamico di progettazione a partire dall’ideazione di un prodotto o servizio o alla sua innovazione.
tratterò in forma più verticale questo argomento nel prossimo articolo in base a ciò che abbiamo applicato in questi anni nei nostri progetti e restituendoti un po’ di esperienza sul campo che non sempre trova spazio nei libri – e che sicuramente non rientrava negli oltre 50 esami sostenuti alla facoltà di architettura! nel frattempo, consentimi di porti questa domanda: qual è il tuo business model? anzi, mettiamo gentilmente un po’ in difficoltà i nostri colleghi chiedendolo anche a loro. se non sanno rispondere significa che non hanno un business model e la loro attività dipende da agenti esterni estranei al diretto controllo. esattamente come la Sig.ra Maria. insomma, non proprio un bel biglietto da visita per la sostenibilità di uno studio professionale o per la serenità dei suoi dipendenti o collaboratori.