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livello di preparazione richiesto: ★★★☆☆
chi è il tuo cliente? quale problema o bisogno aspirazionale risolvi? la sua mappa cognitiva e gli schemi comportamentali sottesi sono ascrivibili ad una nicchia ben identificabile di mercato?
mediamente i soggetti appartenenti all’esercizio di arti e professioni, tra cui gli architetti, identificano piuttosto sommariamente la figura del cliente. generalmente egli è un mezzo in previsione di un fine e tale fine soddisfa essenzialmente il bisogno egoico di riconoscimento del senso di sè, sia in termini materiali – ovvero nello scambio di moneta per servizio prestato – che immateriali – autostima, bisogno di riconoscimento sociale e vanità. dopotutto vanitas vanitatum, et omnia vanitas!
tale interpretazione non dovrebbe inorridire i puri di cuore.
l’economista Joseph Schumpeter scriverebbe “ognuno, anche se in misura minima, deve agire economicamente; ognuno deve essere “soggetto economico” o dipendere da un soggetto economico”.
ed è proprio in questa definizione che viene offerta la chiave di accesso al rinnovamento professionale: gli architetti sono soggetti economici. in particolare appartengono ai membri del gruppo sociale che si sono specializzati secondo le professioni “la cui principale attività – citando ancora Schumpeter – è al servizio dell’economia e del profitto”.
spiacevolmente, anni di atrofia cognitiva sedimentata sotto l’ombrellone dei minimi tariffari e regressa dagli scudi protezionistici di categoria – unitamente alle letture oziose stimolate dai cattivi maestri solleticati dalla volontà di potenza – hanno distolto gli architetti dai cambiamenti di mercato che rendevano inapplicabile quel modello produttivo – ad oggi ancora pienamente vigente – che interpretava il mercato come un ricettore passivo del loro servizio professionale.
ritenere il mercato come un semplice ricettore del bene/o servizio può configurare – operando alcune dovute astrazioni – un modello efficiente in un’economia protezionistica di monopolio o di oligopolio la cui offerta è riservata, in condizione limite, ad un solo attore. al contempo ciò non interpreta il quadro congiunturale del professionismo in Italia a seguito del cosiddetto Decreto Bersani.
anche ipotizzando, per dovuta astrazione, la presenza di un mercato in forma naturale, dunque non regolamentato, caratterizzato dalla domanda latente di un bene e/o servizio soddisfatto in fase iniziale dall’offerta di un solo attore, risulterà ben presto pacifico, presunta la natura redditizia del mercato medesimo, che nuovi player ben presto vi si affacceranno per ritagliarsi una piccola fetta, determinando progressivamente:
- un aumento dell’offerta ovvero una flessione della domanda generalizzata del bene o servizio;
- azioni adattive dei singoli offerenti volte a consolidare la propria posizione minacciata dall’ingresso dei nuovi player.
mentre la prima determinazione è riconducibile alle leggi fondamentali dell’economia all’interno delle quali un incremento nel quadro dell’offerta riduce la domanda del bene e/o servizio determinando una configurazione del prezzo di equilibrio inferiore alla condizione iniziale, la seconda, più sottilmente, riconduce al pensiero calcolante di Heidegger (das rechnende Denken), al fare di conto, sia per chi è già presente sul mercato, dunque potrebbe sentirsi minacciato, e sia per chi si adopererà per ritagliarsi, più o meno lecitamente, una posizione di significanza nel medesimo quadro.
in questo momento il mercato assume progressivamente una composizione di tipo concorrenziale o, come piace dire a me durante i miei seminari, inizia a farsi schizzinoso. il mercato è pur sempre costituito da esseri umani.
se prima eri l’unico a vendere patate potevi permetterti di comportarti da zoticone. adesso, invece, pretendo da te almeno un sorriso e un po’ di cortesia, perchè patate vendi tu e patate vende anche quel bravo contadino che da poco è arrivato nel paese e che ogni giorno si adopera affinché ognuno abbia la sua giusta razione, scambiando sorrisi e gentilezze e, all’occorrenza, mettendomi da parte il pacchetto in caso non arrivassi per tempo.
qui fa il suo ingresso quella branca dell’economia che si chiama marketing che, avendo appreso dalla madre superiore che i mercati caratterizzati da modelli concorrenziali vanno affrontati ricercandone le inefficienze, i plus competitivi, produce in forma reale o fittizia elementi differenzianti che possano costituire per i player di mercato un vantaggio competitivo a fronte di un bisogno esistente o creato artificialmente da dare in pasto ai consumatori al fine di manipolarne le abitudini d’uso.
l’approccio adoperato dal marketing, in quando ramificazione dell’economia, dunque essa stessa scienza, si fonda sulle basi del metodo scientifico. la scienza osserva il mondo al fine di formulare ipotesi sulla spiegazioni degli eventi, manipolando la natura alle esigenze dell’uomo. [Martin] Heidegger scriverebbe: “L’uomo si pone di fronte al mondo come di fronte a un oggetto e propone se stesso come l’ente”. ovvero come colui che discerne secondo il pensiero calcolante ciò che è utile da ciò che non lo è.
al pari dell’approccio scientifico, l’economia e, dunque, il marketing, ricorrono a modelli per descrivere il mondo assoggettandolo alle loro finalità. il complesso delle interazioni degli utenti all’interno di un mercato geografico di riferimento viene analizzato come in un formicaio al fine di adulterare le abitudini d’uso o di consumo di un predeterminato bene e/o servizio. e se il problema non c’è, viene creato, poiché come ci ricorda Frédéric Beigbeder nel libro “99 francs” “Nel mio mestiere nessuno desidera la vostra felicità, perché la gente felice non consuma.”
cercare un vantaggio, una preminenza sociale rispetto ad altri soggetti, è compreso nel corredo narcisistico umano dopotutto. il marketing è guerra ci ricorda Marketing Walfare, il titolo di un famoso libro di Jack Trout e Al Ries del 1977. al contempo, la radice di questa costituzione è ancorata nella natura perfettamente concorrenziale dei mercati, a cui i servizi di architettura si approssimano per evidente similitudine. le caratteristiche di questi mercati sono principalmente due:
- il numero dei compratori e venditori è così numeroso da non poter influenzare il prezzo di mercato. non potendo influenzare il prezzo di mercato, si dice infatti che compratori e venditori “subiscono” il prezzo.
- i beni o i servizi offerti nel mercato sono perfettamente sostituibili gli uni agli altri, ovvero si definiscono “fungibili” perché presentano una scarsa differenziazione.
il marketing a questo punto ti dice di scegliere. di cercare un vantaggio, di “aggredire” il mercato, di cercare un tuo posizionamento, individuare una nicchia e di non essere tutto per tutti. Seth Godin direbbe: “Se vai bene per tutti, sei destinato a fallire, perché qualcosa che vada bene per tutti si può ottenere da chi lo fa pagare meno di te.” Seth ha ragione.
questo al fine di soddisfare una domanda consapevole o intercettare una domanda latente di un prospective buyer – un potenziale cliente – che seguendo le bricioline sparse con intento manipolativo verrà adescato da un servizio professionale e, dopo aver seguito un percorso di indottrinamento passante per imbuti (funnel) o volani (flywheel) e persecuzioni di retargeting e follow-up , si troverà a sottoscrivere un sostanzioso assegno superiore almeno del 30% superiore di quello di un architetto semplice di città che di queste procedure non sa nulla e che farà la coda per firmare la prossima class action in difesa della categoria e la reintroduzione dei minimi tariffari.
chi è dunque il tuo cliente?
posso dirti quello che ho compreso io dopo aver creato 13 progetti imprenditoriali negli ultimi 7 anni. in nome dell’onestà è necessario confessare che anche io, agli inizi, ho assecondato alcune delle logiche poc’anzi tratteggiate fino ad assumere una maggiore consapevolezza del valore che volevo trasferire in piena aderenza al mio senso di scopo più alto. il mio cliente oggi è, prima di tutto, la persona fisica o la società il cui rapporto è fondato su una condivisione di valori. preferibilmente una scala di valori, una gerarchia per mezzo della quale traguardiamo insieme un medesimo orizzonte senza venire a compromessi con i nostri principi. tutto questo oggi costituisce per me una condizione non negoziabile.
“Serghio” Marchionne in una illuminata conferenza alla Bocconi disse: “Io ho due diritti nella vita, il resto sono tutti obblighi. Uno è di scegliere le persone con cui lavoro, l’altro è quello di scegliere quali sono i valori che guideranno l’azienda e quali tipo di caratteristiche, e di leaders voglio riflessi nella gente che scelgo”.
la chiara identificazione dei valori oggi la ritengo fondamentale per qualunque attività di successo. ecco perchè nelle mie sessioni strategiche, come primo passo, affronto sempre con gli studi di architettura e gli architetti l’identificazione dei valori personali (core vales) e quelli professionali (business values). allo stesso tempo, dobbiamo prestare la dovuta attenzione. ricalcando Jack Welch in Winning i valori non debbono perseguire “l’obiettivo di creare una bella targa altisonante da esporre nell’ingresso” e neppure devono ridursi a “un elenco di nobili valori – qualità, servizio al cliente e rispetto – ma non spiegare mai veramente che cosa significhi viverli”. i valori, principalmente, descrivono i comportamenti che assoggettiamo nel nostro lavoro per raggiungere un predeterminato risultato.
ciò significa che non dobbiamo fare marketing?
la mia esperienza mi porta ad avvicinarmi e a riformulare il pensiero di Steve Jobs (1997) in cui “To me, marketing is about values.” in particolare, il ruolo principale del marketing deve essere finalizzato alla comunicazione dei valori che guidano come atti comportamentali l’azione professionale dei singoli Architetti o degli Studi Associati al fine di generare un servizio di assoluta stra-ordinarietà che miri all’autotrascendenza, lo scopo più alto dell’agire oltre la materialità del servizio professionale medesimo offrendo un grado esperienziale di unicità per il cliente. insomma, qualcosa per cui valga la pena vivere. questo è tutto ciò che oggi applichiamo ai nostri progetti e ad ArchitettoClub.
chi è dunque il tuo cliente?
per gli architetti il cliente è un soggetto indifferenziato, preferibilmente altospendente, un mezzo utilizzato per il soddisfacimento del proprio bisogno egoico. se rientri in quest’ultima definizione c’è del lavoro da fare.
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